Greta era quella che Emma avrebbe voluto essere. Eterea e con senso dell’umorismo, bella nell’essenziale, senza alcun problema tecnico con Mozart. E i suoi esami in conservatorio sostenuti con la naturale semplicità di chi fa quello per cui è nato. Voti eccelsi e nel frattempo il liceo classico. Gli esami di Emma invece fatti sgobbando, ogni volta con un principio di tachicardia e la sensazione di essersi imbarcata sulla nave sbagliata, i voti poco più che sufficienti e la scuola superiore una di quelle dove poi l’università la puoi anche non fare. All’ultimo esame prima del diploma, lei, inizia anche composizione. E tutti i compagni di corso comuni mortali che pensano: “Minchia, la Greta!” La si immagina in un futuro di sale da concerto in Germania e in Australia, in prime esecuzioni assolute di suoi pezzi a New York. Nel turbinio dell’adolescenza si perdono. Emma ha il suo momento di gloria e liberazione quando alla fine di una lezione dice all’insegnante: «Guardi, qui mi sento sul Titanic, mi fiondo sulla prima scialuppa che c’è».